Studio di uno psichiatra. Entra un paziente che batte le mani in continuazione.
– Buongiorno Dottore (clap!), mi hanno detto (clap!) di venire (clap!) da lei (clap!) perché sarei (clap!) pazzo (clap!), ma io (clap!) non lo sono! (clap!)
– Allora perché batte le mani continuamente senza motivo?
– Come (clap!) senza motivo? (clap!) Per scacciare gli elefanti! (clap!)
– Ma in questo studio non ci sono elefanti!
– Vede? (clap!) Funziona!
Cominciamo con il dire che non sono un medico e che la mia formazione è quella di un filosofo che si è specializzato in particolare nel campo logico ed epistemologico. Di conseguenza ho delle cognizioni molto generiche su quella che può essere l’effettiva pericolosità dell’influenza da coronavirus, per cui tenete conto di questo leggendo la prima parte dell’articolo. In compenso, però, so qualcosa di meno generico sul trattamento dei dati statistici, sull’utilizzo degli stessi nella produzione delle fallacie logiche, sui meccanismi di diffusione di quelle che oggi si definiscono “fake news”.
Al momento in cui scrivo queste righe, Domenica 9 febbraio 2020, l’influenza da coronavirus ha portato all’identificazione della malattia in oltre trentasettemila persone, di qui circa ottocento sono morte e circa cinquemila completamente guarite e dimesse. Il primo dato – le oltre trentamila persone infettate individuate come tali – non va confuso con il numero effettivo di contagiati, che è quasi sicuramente molto più alto: le infezioni hanno un decorso molto diverso da organismo ed organismo, in alcuni abbiamo la completa mancanza di sintomi, in altri dei sintomi di bassa entità, in altri i sintomi sono molto gravi, in altri l’esito è letale. Di conseguenza, soprattutto all’inizio prima del diffondersi del panico, a farsi ricoverare ed essere individuati come affetti dall’influenza da coronavirus sono stati individui che presentavano una sintomatologia decisamente grave. Insomma, la stessa dinamica che riscontriamo in tutte le malattie, compresa l’influenza “standard”. Quella della stagione passata ha fatto un paio di centinaia di vittime solo in Italia, escludendo i casi dove il decesso è avvenuto in base anche ad evidenti complicanze di malattie preesistenti (diversamente l’ordine sarebbe delle centinaia al giorno); un quarto dei morti attuali da coronavirus ma su una popolazione che è un ventesimo di quella cinese. Tali dati sembrerebbero suggerire una bassa letalità del coronavirus, ma la stagione influenzale scorsa è del tutto terminata, mentre l’attuale diffusione dell’influenza da coronavirus è ancora in corso per cui solo alla fine si potranno confrontare utilmente tale genere di dati. Tenendo presente ciò, in ogni caso i morti della passata influenza “standard” a livello mondiale sono stati oltre sessantamila.
Altro dato che potrà essere utilizzato alla fine dei giochi per comprendere l’effettiva letalità della malattia da coronavirus è l’età e le precedenti condizioni di salute dei soggetti deceduti a seguito di essa: al momento però l’influenza da coronavirus sta avendo lo stesso andamento dell’influenza “normale” di tutti gli anni passati. Insomma, a decedere sono nella stragrande maggioranza dei casi persone molto anziane e/o fortemente debilitate da preesistenti patologie.
Se poi il confronto venisse fatto con un’altra malattia come la polmonite di origine batterica, che nella sola Italia fa circa dieci/undicimila morti l’anno (alcuni milioni nel mondo di cui quasi un milione bambini, ottocentomila nella sola Africa) il confronto sarebbe ancora più impietoso. Certo si tratta di un’infezione batterica e non virale ma, in ogni caso, un elemento comune ci sarebbe su cui trarre alcune conclusioni: anche i morti da polmonite batterica, almeno nei paesi industrializzati, avvengono per il fatto che l’infezione resiste all’azione degli antibiotici – quindi siamo di fronte anche qui ad una mutazione dell’agente che causa la malattia.
Ora entriamo gradatamente in un campo in cui mi sento più sicuro. La questione dei nuovi ceppi batterici resistenti agli antibiotici da tempo è denunciata in tutta la sua gravità dalla comunità medica, eppure i numeri sicuramente enormi sulla letalità di questi ceppi citati in precedenza per il solo caso della polmonite non hanno sicuramente provocato nemmeno alla lontana il grado di isteria collettiva che ha prodotto l’infezione da coronavirus. Anche supponendo che la questione alla fine risulti maggiormente grave – ed al momento non sembra affatto detto – di altre patologie del passato della stessa origine geografica, ben difficilmente si raggiungeranno i sicuramente preoccupanti – e sicuri – dati dei ceppi batterici antibiotico-resistenti e di altre emergenze sanitarie o, meglio, che dovrebbero essere tali ma che non suscitano non dico isterie ma nemmeno vaghe preoccupazioni a livello di massa.
D’altronde, a ben pensarci, negli anni passati nemmeno casi come la SARS, l’Aviaria o la Suina, che pure erano sostanzialmente la stessa cosa – una nuova malattia virale di cui all’inizio non si conosceva la letalità e che, in virtù del suo essere sconosciuta agli apparati immunitari umani, si diffondeva con estrema facilità – avevano portato allo sviluppo di un tale grado di isteria di massa. Cosa è successo adesso? Proviamo a fare qualche ipotesi.
Tramite l’ineffabile Salvini – che ha dato al suo specifico team l’appellativo di “Bestia” – siamo venuti in molti a conoscenza del fatto che gli uomini politici si circondano di un gruppo di specialisti della (dis)informazione che agiscono, soprattutto sui social, in modo da cercare di indirizzare in ogni modo possibile ed immaginabile – compresa la creazione di fake news – l’opinione pubblica in una direzione favorevole al loro datore di lavoro. Molti, ma non tutti, hanno anche compreso che Salvini non è affatto il solo uomo politico ad utilizzare simili team di comunicatori digitali: magari non li chiameranno con un nomignolo così affettuoso ma quello che conta è che operano tutti allo stesso modo… Ancor meno persone però immaginano che tali team non si limitano ad agire nel campo della politica dei partiti: aziende di ogni genere ed istituzioni statali – in primo luogo i servizi che sono stati i primi a dotarsene ben prima della comunicazione digitale – con un minimo di rilevanza ne hanno uno.
Proviamo allora ad immaginare uno scenario. Le “Bestie” di vari aziende legate all’“informazione” – giornali, periodici, radio, televisioni, siti web – il 31 dicembre 2019 o poco dopo ricevono la notizia del primo caso della nuova malattia. Si tratta di una notizia che potenzialmente attrae tantissimi lettori, se ben congegnata: un virus nuovo, potenzialmente letale al pari della spagnola, proveniente da un paese che da sempre – il “pericolo giallo”… – gode di pessima fama: l’ingrediente perfetto per attrarre un bel po’ di lettori impauriti. Dato il numero enorme di queste simpatiche bestiole, anche se solo una su cento si fosse dedicata ad infiocchettare la notizia per renderla appetibile, la rete delle comunicazioni social si sarà trovata sommersa da innumerevoli esagerazioni della portata dell’evento – si sa, la peste fa paura e chi ha paura si informa sulla fonte delle proprie paure.
Già questo poteva bastare ad innescare un lose-lose game in cui tutti ci avrebbero perso ad eccezione dei media, che attraggono l’attenzione, aumentano i fruitori dei loro prodotti informativi, aumentano i profitti sulla pubblicità on-line che comparirà a fianco delle notizie su questa epidemia. In un qualche modo, come si è notato in rete, i media sono gli untori (virtuali) del XXI secolo. In effetti, però, non sono stati solo i media ad avvalersi di ricadute (per loro) positive dell’innesco di una tale morbosa attenzione verso questa nuova malattia.
L’innesco di una psicosi di massa innanzitutto avvantaggia sicuramente anche i governi di ogni risma, che da sempre utilizzano il timore delle masse per mettere in atto politiche securitarie e di controllo delle popolazioni, politiche che non sarebbero passate facilmente in situazioni normali. Persino una dittatura centralizzata come quella che controlla il capitalismo cinese difficilmente avrebbe potuto rinchiudere in una gigantesca galera una regione grande quasi quanto l’Italia senza il Timore del Grande Contagio e con l’apparente consenso della stessa popolazione imprigionata.
Nel contempo le nazioni di tutto il mondo approntano sempre nuovi e più invasivi controlli nello spostamento delle popolazioni, controlli che andranno ad aggiungersi a quelli già adesso presenti, che furono presentati come la risposta al timore post 11 settembre di attentati da effettuare con esplosivi liquidi che sarebbero stati progettati da una cellula britannica legata ad Al Qaeda.
In questo contesto, il ruolo di Big Pharma – cui si contesta l’enfatizzazione della nuova malattia al fine di lucrare sul prevedibile richiestissimo vaccino in fase di sviluppo – non è impossibile, dato che anche le cause farmaceutiche hanno le loro brave bestiole, ma apparirebbe del tutto secondario, una sorta di “danno collaterale”.
Per finire due cose. Innanzitutto, il fatto stesso che una simile ricostruzione degli eventi sia del tutto verosimile mostra quale sia il ruolo delle persone “normali” nella diffusione delle “fake news”: assai spesso sono giocate, sfruttate tramite i loro pregiudizi dalle varie “bestiole” presenti nella rete che le piegano ai loro scopi di disinformazione. Vittime paradossalmente spesso partecipi e consenzienti ma raramente attive nella formazione iniziale delle fakes. Infine, una strategia del genere come quella esposta ha il vantaggio di cadere sempre in piedi. Mettiamo, infatti, che di qui a qualche mese la cosa – come sembra probabile e ci auguriamo che sia – si sgonfi: la strategia comunicativa sarà che le manipolazioni securitarie delle popolazioni hanno funzionato. Come nella barzelletta del pazzo plaudente, ma non ci sarà molto da ridere.
Enrico Voccia
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